Omicidio Yara, contro Bossetti tanti indizi ma qualche dubbio inizia a spuntare
Criminologia Emilia Romagna

Omicidio Yara, contro Bossetti tanti indizi ma qualche dubbio inizia a spuntare

martedì 24 marzo, 2015

BOLOGNA, 24 MARZO 2015 - Che per Massimo Giuseppe Bossetti sarebbe stato chiesto il rinvio a giudizio per la morte di Yara Gambirasio, è una notizia che tutti si aspettavano. Così come appare certo che l’uomo, unico indagato per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sotto (Bergamo), avvenuto il 26 novembre 2010, andrà a processo.

Ma raramente come in questo caso - basta dare un’occhiata ai social network e ai programmi televisivi che si occupano di cronaca nera - l’opinione pubblica si divide nettamente fra innocentisti e colpevolisti. Questi ultimi, forse, più numerosi dei primi. Senza addentrarci troppo nei particolari tecnici, per entrare davvero “nel cuore del crimine” qualche considerazione va fatta, al di là dell’idea che ognuno può essersi costruita.

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Vediamo: quali sono gli indizi a carico di Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso? Quello ritenuto dagli inquirenti fondamentale e inespugnabile, è il Dna sui leggins della bambina (il cadavere fu ritrovato in un campo tre mesi dopo la scomparsa), che è risultato appartenere a Bossetti. Prima incongruenza: fra Dna nucleare e Dna mitocondriale c’è qualcosa che non torna, così emerge da una perizia tecnica. E anche un genetista forense di fama internazionale, Marzio Capra, afferma che dietro la non coincidenza potrebbe esserci un errore nell’analisi.

Altro indizio ritenuto gravissimo, sempre dagli inquirenti, è che alcune tracce del tessuto dei sedili del furgone di Bossetti sarebbero state ritrovate addosso al corpo della bambina. Ma il furgone in questione è un Iveco Daily e quel tessuto ricopre i sedili di circa 100mila furgoni di quel tipo. Ancora, ci sarebbero tracce di ricerche fatte da Bossetti sul computer con le parole “tredicenne”, “sesso” e “adolescenti”. Anche qui la perizia di un informatico forense, questa volta della difesa, afferma che queste ricerche potrebbero essere state generate in automatico e non fatte intenzionalmente dall’indagato.

Poi ci sono filmati, intercettazioni, coltelli che però non sono quelli dell’omicidio, testimonianze che spuntano ad anni di distanza, addirittura arrivano anche i detenuti che raccontano di aver raccolto confessioni da Bossetti stesso (ma a queste non ci crede troppo nemmeno la Procura, pare): tutti indizi, certo, che potrebbero essere raccontati in un volume e che qui sono riassunti in poche righe. Ma quello che è importante sottolineare, è che possono essere interpretati a concludere tutto e il contrario di tutto. Mentre la “prova regina” del Dna sembra avviata a essere, più che una “regina”, tutt’al più una “principessa”.

Risultato: al di là di quello che vuole il circo mediatico, al di là di quella che sarà la verità processuale, ci sono certo elementi che puntano sulla colpevolezza di Bossetti, ma anche elementi che portano alla sua estraneità. Basta questo per gridare con certezza all’assassino? La prudenza, più che dovuta in casi come questi, consiglia di attendere che tutte le carte - dell’accusa come della difesa - vengano mostrate nelle sedi opportune: l’aula di un tribunale. Sembra palese, ma troppo spesso questa regola viene dimenticata.

Considerazione finale: chi da anni si appassiona alle vicende di cronaca nera, ricorderà il caso del delitto di via Poma, Roma, agosto 1990. Anche in quel caso, vent’anni dopo, spuntò un Dna e spuntarono tanti indizi nei confronti dell’ex fidanzato della vittima, Simonetta Cesaroni. L’uomo finì sotto processo, fu condannato in primo grado ma assolto sia in Appello, sia in Cassazione. Il dubbio che qualche analogia fra il delitto di via Poma e quello della piccola Yara, forse ci potrebbe sfiorare.

Paola Bergonzoni


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