A Serra San Bruno tre giorni di formazione per il clero di Catanzaro-Squillace
Chiesa e Società Calabria

A Serra San Bruno tre giorni di formazione per il clero di Catanzaro-Squillace

venerdì 1 settembre, 2017

SERRA SAN BRUNO (VV), 01 SETTEMBRE - “Preti nel cambiamento d’epoca”. Questo lo slogan che ha caratterizzato il corso residenziale annuale di formazione dei presbiteri di Catanzaro-Squillace, guidati dal loro arcivescovo, mons. Vincenzo Bertolone. Sacre scritture (con don Edoardo Palma), biologia (col prof. Carlo Cirotto, Università di Perugia), filosofia (col prof. Pasquale Giustiniani, PFTIM sezione san Tommaso) e tecniche di comunicazione (con la prof.ssa Simonetta Blasi, UPS e Lumsa), i punti di riferimento teorici e patici, nella cornice suggestiva dell’auditorium del museo della Certosa di Serra san Bruno. [MORE]

Tre le parole da meditare, approfondire, tradurre pastoralmente (sia con le relazioni degli esperti che con le clip multimediali) in una stagione controversa della postmodernità avanzata nella quale, come ha detto l’arcivescovo introducendo i lavori, “il desiderio di spiritualità non è stato eliminato, ma è annacquato”, eccone alcune: coscienza morale, libertà, peccato. Il peccatore, persecutore e violento, Saulo, ha detto il biblista don Palma, elabora, una volta divenuto apostolo, una vera e propria teologia del peccato, partendo dalle concrete situazioni di male e di peccato, come quella drammatica della comunità di Corinto, dove tra i cristiani ci sono casi d’immoralità (nella sfera sessuale e coniugale), da interpretare e risolvere, alla luce della misericordia di Dio, della grazia e, in particolare, del Cristo. Guardare ai peccatori, nella concretezza della vita quotidiana, significa, da un lato, non dimenticare che la storia del peccato accompagna l’intera narrazione della rivelazione biblica dal Vecchio al Nuovo Testamento; ma, dall’altro, essere accanto a chi riconosce di sbagliare e vuol essere aiutato nel discernimento, accompagnato, ascoltato, confessato e perdonato, con il ritorno ad un’esistenza pentita e rinnovata.

Un po’ come ci è stato suggerito nel corso del Giubileo della misericordia, e poi nella logica individuata dall’Esortazione apostolica Amoris laetitia: quella del discernimento circa le diverse situazioni familiari e della vasta tastiera dell’amore. Il senso del peccato, tuttavia, richiede una buona teoria antropologica ed etica di riferimento, ovvero una visione integrale dell’essere umano (corpo, anima, spirito) che si riconosca libero, ovvero scopra la meraviglia della libertà, come ha scritto il redentorista T. Kennedy, nonostante le pressioni teoriche, economiche e politiche, che mirano ad indirizzare in modo unidirezionale i consumi, le scelte (già eravamo stati avvertiti del pericolo dell’uomo a una dimensione). La coscienza morale, ha ricordato Giustiniani, nella scia della migliore tradizione medievale che fa capo a Tommaso d’Aquino, acquista significato solo in presenza d’un “sistema di leggi” (legge eterna, di natura, positiva, eccetera), nel cui orizzonte ogni essere umano può discernere l’esistenza di un giudizio libero che “applica” il bene a reali situazioni soggettive e particolari. Purtroppo questo orizzonte, nonostante le recenti insistenze della Commissione Teologica Internazionale sull’attualità della legge naturale, è caduto in crisi in una società che sta portando a compimento l’ipotesi annunciata all’inizio del Novecento da F. Nietszche: portarsi al di là del bene e del male.

A volte, sulla base di teorie biologiche e genetiche che, in nome del pur giusto superamento del determinismo, insegnano il superamento totale delle indicazioni iscritte nel dinamismo cellulare e nei codici proteici da trascrivere all’interno delle cellule. Come ha ricordato Cirotto, i vincoli biologici ci sono, ma né determinano assolutamente l’individuo umano (che resta libero, cioè capace di decidere autonomamente il bene e il meglio), né autorizzano una libertà assoluta di definire se stessi, la propria identità (anche l’identità sessuale che le teorie del gender cercano di far diventare del tutto culturale, mentre la diade sessuata è naturale e culturale), le proprie scelte. Il superamento del determinismo biologico, associato alle grandi pressioni dei gruppi di potere economico e massmediale, che regolano il mercato, fa credere a molti che libertà voglia dire autonomia assoluta e autodeterminazione, come se ciascuno di noi fosse in grado di definire in proprio le “tavole del bene e del male” e basti solo enumerare i diritti da tutelare, anziché pure i doveri da compiere. Una sfida pastorale, oltre che speculativa, che i parroci e i preti devono mettere bene a fuoco in quei “presidi etici territoriali” che sono le parrocchie, per accompagnare e curare le persone di questo nostro tempo, anche nella stagione della iperconnettività, dei comportamenti quotidiani (alimentari, ludici, sociali, eccetera) orientati dalle lobbies. Come ha ricordato Blasi, la corporation cerca di governare e orientare a tutto campo l’essere umano, gli fa credere di essere libero, ma purtroppo lo condizionano a tal punto da non accorgersi delle nuove forme di schiavitù e di oppressione di questa società. Il Cristo, in questo contesto, è la carta vincente e liberante, in quanto libero e liberatore da ogni male.


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