Paul Derbyshire: tra impegno e divertimento, la fortuna di essere rugbista
Interviste Toscana

Paul Derbyshire: tra impegno e divertimento, la fortuna di essere rugbista

lunedì 31 marzo, 2014

 LIVORNO, 31 MARZO 2014 – Non fatevi ingannare dal nome anglosassone, perché Paul Derbyshire è italianissimo. Nato e cresciuto a Cecina (LI), figlio di padre inglese e madre italiana, un connubio perfetto che ha portato il giovane Paul a diventare terza linea della Nazionale italiana di rugby. Una carriera strepitosa, con alti e bassi, da cui è sempre uscito a testa alta, grazie anche alle qualità che lo contraddistinguono: umiltà, impegno e determinazione. Di seguito l'intervista al giocatore. 

L’esperienza del Sei Nazioni di rugby si è da poco conclusa, purtroppo non tanto bene, qualche rimpianto?
«Non è andata come speravamo, potevamo fare di più ma non ci siamo riusciti. Un po’ di dispiacere c’è, ma anche tanta voglia di lavorare per migliorare.»[MORE]

C’è da dire però che vedere lo Stadio Olimpico a Roma così pieno di gente dà una grande soddisfazione. È un segnale che il rugby sta entrando nella vita degli italiani?
«Sì è un segnale sicuramente positivo. Non siamo ancora ai livelli del calcio ma siamo sulla buona strada. Vedere così tanti tifosi è stato emozionante, significa che le persone si stanno appassionando sempre di più. E quindi anche da parte nostra ci dev’essere un impegno maggiore per non deludere i nostri tifosi, cosa che purtroppo è accaduta durante questo Sei Nazioni e quando vedi uno stadio pieno come quello di Roma e non riesci a vincere il rammarico è molto grande. Spero però che la cerchia si allarghi sempre di più, perché avere un tifo del genere ti dà una carica incredibile.»

Il tratto distintivo del rugby è il famoso Terzo tempo, come si svolge?
«Dopo la partita, i giocatori si riuniscono per bere o mangiare qualcosa insieme. È un momento di ritrovo nel quale ci si lascia alle spalle la partita appena giocata ed è possibile godersi la compagnia dei giocatori, avversari compresi.

Questo però succede quasi esclusivamente nel rugby. Negli altri sport pensi sia più difficile?
«Hanno provato a inserire questa usanza anche in altri sport, ma l’efficacia è stata molto più bassa. Nel rugby questa tradizione viene coltivata fin da quando i giocatori sono piccoli, vengono cioè instradati verso il rispetto nei confronti dell’avversario, e quindi credo che sia più facile convivere con questo momento anche quando si diventa adulti. Tutto questo fa parte dei valori di lealtà e di rispetto sui quali si fonda il rugby stesso, sarebbe bello che si estendessero anche agli altri sport, ma purtroppo per ora non è così.»

Il Terzo tempo avviene anche in Nazionale?
«Il concetto è lo stesso, l’unica differenza è che l’evento è un po’più formale, ci vestiamo eleganti e di solito i capitanti si scambiano le cravatte in segno di amicizia. Però l’obiettivo è sempre lo stesso: condividere un momento tutti insieme a fine partita.»

Hai avuto una carriera strepitosa, partito da Cecina e arrivato alla Nazionale. È stata dura?
«Sì ho iniziato a Cecina per poi passare a livelli sempre più alti: Piombino, Prato, l’esperienza all’estero allo Stade Français. E poi Parma, Padova, Treviso fino all’esordio in Nazionale. In alcuni momenti è stato faticoso, ho dovuto abbandonare la mia città, gli amici, tutto quello che avevo per iniziare una nuova avventura, ma fortunatamente ero già abbastanza grande per affrontare tutto. A 19 anni sono partito per andare in Francia e forse era l’età giusta per fare dei cambiamenti. Se fossi stato più giovane forse avrei avuto più difficoltà, ma alla fine credo che se fai una cosa che ti piace riesci ad adattarti a tutto.»

Il punto forse è proprio questo, che sei riuscito a trasformare in lavoro la tua più grande passione, non è così?
«Esattamente. Mi ritengo fortunato perché faccio un lavoro che prima di tutto è un divertimento ed essere riuscito a unire queste due cose penso che sia la cosa più bella che mi potesse capitare.»

Il tuo è un esempio da seguire, perché dimostra come grazie all’impegno e alla determinazione si possa arrivare in alto. Che consigli daresti a un giovane rugbista che sogna una carriera come la tua?
«Sicuramente di non darsi mai per vinto, di impegnarsi al massimo ogni giorno. Non importa crescere in una grande città o in una squadra di primo livello. Io sono partito da una realtà piccola e sono riuscito ad arrivare dove sono adesso, quindi niente è impossibile. Ovviamente servono anche le doti fisiche ma penso che la determinazione sia l’arma vincente per realizzare il proprio sogno.»

Rimanendo però umile, cosa che tu hai fatto…
«Diciamo che io mi sento sempre lo stesso, appena posso torno a casa, a Cecina, e qui oltre alla mia famiglia ritrovo gli amici di sempre e questo è molto importante per me. Ogni tanto sento il bisogno di tornare alla normalità, anche solo per fare un giro sul mare e godermi un po’ di pace.»

Un po’di nostalgia di Cecina? Potresti tornarci in futuro?
«Un po’ di nostalgia indubbiamente sì, però per il momento continuo per la mia strada, anche se non escludo un ritorno a Cecina nel futuro. Mi piacerebbe mettermi a disposizione per dare il mio contributo a questa società che negli anni è cresciuta e ha fatto strada. Per ora sto bene dove sto e spero che la mia carriera prosegua ancora per un po’anche perché riesco ancora a divertirmi in quello che faccio. Però un pezzo di cuore resterà sempre a Cecina, la squadra dove ho iniziato, è diciamo un po’ come il primo amore… non si scorda mai.»

Giulia Calvaresi

 

(Fonte immagine: rugby1823.blogosfere.it)


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