"In trance" di Danny Boyle, indimenticabili amnesie da rave
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"In trance" di Danny Boyle, indimenticabili amnesie da rave

giovedì 29 agosto, 2013

In trance di Danny Boyle, la recensione - C’era un tempo, spiega fuori campo Simon (James McAvoy), in cui per rubare un dipinto non serviva nemmeno una pistola: bastavano un po’ di muscoli e nervi saldi. Oggi, invece, ci sono precauzioni e misure di sicurezza, ed ogni sorta di congegno antifurto. Ma se il ladro e il controllore sono la stessa persona, tutto diventa più facile: a meno che la memoria non tiri un brutto scherzo. Così Simon, impiegato in una casa d'aste, orchestra la sottrazione di un quadro di Goya con Franck (Vincent Cassel): la banda esegue che è una meraviglia, ma inspiegabilmente durante la rapina è lo stesso Simon  a far precipitare gli eventi colpendo il complice. Si risveglia in ospedale, con in testa qualche contusione ed un buco: dove ha nascosto il quadro prima di perdere i sensi? L’ipnosi, forse, potrà rivelarlo. Ma l’ipnotista, Elizabeth Lamb (Rosario Dawson), sembra mescolare le acque, piuttosto che fare chiarezza.[MORE]

TRANCE IN DIGITALE - Più che un triangolo, Cassel\McAvoy\Dawson, In trance è un prisma impazzito, reso forsennato e continuamente sfuggente da una perenne schizofrenia dello sguardo. Noir colorato in digitale, quasi lisergico, punta sulle alterazioni della mente per produrre una costante incertezza percettiva, in cui il montaggio stesso sembra piuttosto smontare la realtà al calore bianco di una coscienza scottata, di una memoria incerta, di un occhio della mente affabulato. L’effetto, davvero, è quello di una trance ininterrotta, che costringe a dubitare sul confine tra realtà e fantasia, oggettività e costruzione mentale. Ora calde, ora fredde, le luci sono spesso rifratte in ambienti specchianti.

FERMATI UN MEMENTO - È una narrazione straniante, quella di Boyle, che riesce nell’impresa di costruire un puzzle decostruendo le certezze, piuttosto che cementandole: mentre la colonna sonora di Rick Smith degli Underworld affiora con minacciosità ora vellutata ora marziale, pulsando come dai recessi di un’interiorità disfatta, lo storytelling volutamente frammentario si compone per schegge, un po’ alla Memento di Christopher Nolan, disvelando a ritroso fatti frammentari. Eppure niente è come appare, e nello sfalsamento temporale, oltre che percettivo, del racconto, ogni dettaglio acquista un nuovo senso alla luce dell’avanzamento del film. È un film che scavalca ritmicamente se stesso, come trapassando da uno stadio di (in)consapevolezza all’altro. Le immagini nelle immagini complicano il trip: specchi, stanzoni bui dove s’improvvisa una terapia, silhouette dietro un tendone, cartoline per trucchi di psicologia, vetrate dal riflesso moltiplicante. I frame che si scompattano paiono dissolvere ogni sicurezza: anche il touch screen di un ipad può diventare il tramite di un sortilegio neuro-visivo.

DAWSON'S TRIP - Stupefacente, anche nel senso di dopante, nel film di Danny Boyle, è infatti lo smottare degli umori, la scivolosità dei ruoli, per cui allo spettatore non è dato nemmeno ancorarsi ad un limpido gioco delle parti. Significativo in questo senso è già il prologo, in cui Simon\McAvoy passa in pochi minuti da vittima per lo spettatore, ad eroe del proprio micro-mondo, attorniato dai flash in ospedale come Alex in Arancia Meccanica; da truffatore, a complice di Franck, ancora, a vittima, a raggirato: da dealer a gambler. La sua labilità ben rappresenta l’ipertensione al twist, forse il gioco più pericoloso dello script: quello dei continui cambi di ruolo e dei colpi di scena. Se ne perde in coerenza, se ne guadagna in magnetismo. Ed a proposito di suggestioni, Rosario Dawson non è semplicemente una protagonista di splendido carisma erotico. Siamo ad un livello d’interpretazione ben più cruciale: la sua è una lunga recitazione stregonesca, una malia ipnotica che passa per labbra carnose, mutando dai virginali capelli raccolti della prima seduta d’ipnosi, ai setosi capelli bagnati dopo un amplesso. La sua effigie si spezza, si ricompone, si moltiplica: mesmerizza. Strega, dunque, come nel quadro di Goya, affattura e doma anche un mastino come Cassel, duro mancato, catalizzando lo sguardo – letale la breve scena di nudo – non meno che l’udito, con la calda voce spesso fuori campo per narcotizzare il paziente\spettatore ed indurlo alla trance ipnotica.

Amnesia indimenticabile, In trance di Danny Boyle è un noir sempre serrato nel ritmo e sempre aperto negli sviluppi, in grado di sedurre lo sguardo, aggrovigliare i fili narrativi, tramortire ed esaltare come in un rave, mescolando stati della coscienza evanescenti a pulsioni carnali.

TITOLO ORIGINALE: Trance
GENERE: Drammatico, Thriller
REGIA: Danny Boyle
SCENEGGIATURA: Joe Ahearne, John Hodge
ATTORI: James McAvoy, Rosario Dawson, Vincent Cassel, Danny Sapani, Matt Cross, Wahab Sheikh, Mark Poltimore, Tuppence Middleton, Simon Kunz, Spencer Wilding
MUSICHE: Rick Smith
PRODUZIONE: Cloud Eight Films, Film4
DISTRIBUZIONE: 20th Century Fox
PAESE: Gran Bretagna 2013
DURATA: 101'

Antonio Maiorino

Critico d'arte e di cinema
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