Multiculturalismo: "limes" tra nuovo passato e vecchio presente
Societa' Sicilia

Multiculturalismo: "limes" tra nuovo passato e vecchio presente

domenica 5 aprile, 2015

MESSINA, 5 APRILE 2015 - Se è vero come è vero che le parole sono importanti e che non servono unicamente a descrivere una realtà oggettiva ma anche a costruire nuovi significati, possiamo certamente affermare che il linguaggio è lo strumento di costituzione del soggetto e del suo operare nella società di ogni tempo. “Contestualizzare” risulta una pratica molto diffusa ai nostri giorni, ma se per alcuni è un modo per rendere oggettiva un’espressione, per altri è una prassi ampiamente utilizzata per liquidare un problema attraverso sempre più mediocri banalizzazioni.[MORE]

Ciò che appartiene all’oggi è frutto del passato, di quella storia tanto spesso vituperata, la cui scomparsa rappresenta la perdita irrimediabile dell’identità culturale di un paese. Questa rarefazione della memoria ci impedisce di guardare con la dovuta obiettività e con il necessario senso critico ai fenomeni sociali che ci riguardano da molto vicino. Tanti sono gli errori di forma e di sostanza che si commettono in preda ad un’asfittica visione della realtà. È ad esempio generalmente condiviso, grazie anche al sostegno di una certa sociologia d’accademia, il pensiero che multiculturalismo sia un termine nuovo, importato dagli Stati Uniti alla fine degli anni’80 e approdato in Europa proprio nel momento in cui era funzionale possedere un vocabolo che definisse la nuova presenza di “differenze” nella società occidentale poco abituata ad attendere il fisiologico amalgamarsi delle disuguaglianze culturali che avrebbe portato naturalmente all’avvento di un’uguaglianza universale.

La storia ci insegna, come sempre, altro. L’evoluzione della società umana fin dai suoi albori è stata caratterizzata dal movimento, dal flusso continuo di persone ed esperienze provenienti da contesti geografici lontani che per ragioni di volta in volta differenti, si sono incontrati scontrandosi, inevitabilmente, laddove appariva impossibile non solo una fusione di intenti ma anche una apparente semplice convivenza. Già durante il II secolo d.C. l’ impero romano aveva dovuto fare i conti con la pressione esercitata sui suoi confini dai barbari ai quali venivano attribuiti connotati di ferocia e spietatezza a causa dell’incapacità degli abitanti dell’impero di concepire culture diverse da quella greca o dalla loro.

Da qui l’espressione “invasioni barbariche” che stava ad indicare proprio l’avvento del nemico estraneo alla civiltà ma più ampiamente, dello straniero. E poco importava se in realtà barbarus fosse un aggettivo contenente una sfumatura canzonatoria riferita in modo onomatopeico alla difficoltà dello straniero di esprimersi. Il vocabolo ormai era diventato un’etichetta utilizzata per identificare il “diverso”. Assistiamo, quindi, oggi ad una nuova invasione barbarica? È importante innanzitutto sottolineare che ogni società in ogni suo tempo è ed è stata multiculturale poiché se i confini politici sono rigidi non lo sono certamente quelli culturali.

Così come rappresenta un falso ideologico l’idea di pensare al multiculturalismo come alla conseguenza della presenza massiccia nella nostra società di immigrati di nuova provenienza. Essi tutt’al più aggiungono differenze a quelle già esistenti contribuendo a renderle più visibili. E allora se riconosciamo l’importanza dei termini e il peso che la loro introduzione nel linguaggio comune può avere al fine di rendere più familiarmente fruibili determinati concetti, sarebbe più consono parlare di “intercultura”, così come sostiene il sociologo Adel Jabbar il quale sottolinea come sia necessario considerare gli immigrati non tanto rappresentanti di una cultura quanto di un progetto sociale di emancipazione. Ecco che quindi l’intercultura innesca un processo di estensione dei confini della democrazia attraverso una cultura della partecipazione basata sul riconoscimento delle differenze.

La vera invasione barbarica a cui stiamo assistendo oggi, al di là di ogni mera considerazione politica o sociale, seppur necessaria per concepire l’integrazione, è una migrazione culturale che si configura come un movimento di vasta portata e di lunga durata. I nuovi barbari che bussano alle porte del nostro impero non sono più lo “straniero” verso cui è necessario attivare solo una politica difensiva per arginare il pericolo che comporta aprire i propri confini. La democrazia tanto enfatizzata nei momenti di affermazione di diritti violati o calpestati deve mostrare il suo potere di attiva partecipazione affinché non si passi dall’ hospitalitas-foederatio all’egemonia del dominio sulle coscienze che porterebbe inevitabilmente alla chiusura e all’abbrutimento precludendo ogni possibilità di crescita morale.

(Foto dal sito viveur.it)

Maria Portovenero


Autore
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